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Intervista a Loris Seligardi, IT Associate Director di Amplifon

Ci sono storie che iniziano con un cacciavite e un vecchio Commodore 64. Quella di Loris Seligardi, oggi IT Associate Director di Amplifon, è una di queste. La passione per […]

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Intervista a Loris Seligardi, IT Associate Director di Amplifon

Ci sono storie che iniziano con un cacciavite e un vecchio Commodore 64. Quella di Loris Seligardi, oggi IT Associate Director di Amplifon, è una di queste. La passione per […]

Ci sono storie che iniziano con un cacciavite e un vecchio Commodore 64. Quella di Loris Seligardi, oggi IT Associate Director di Amplifon, è una di queste.

La passione per i sistemi e per i software lo hanno portato a coordinare progetti ERP su scala globale, oggi al centro di una trasformazione strategica tra Milano e Shanghai.

Il suo approccio alla tecnologia ha sempre avuto un tratto distintivo: l’attenzione per le persone. 

Loris, ci racconta un’idea di leadership che mette l’ascolto e la comprensione al centro del cambiamento.

“Ho imparato che per ogni flusso dati serve un flusso umano altrettanto solido: bisogna allineare definizioni, aspettative, tempi. Tradurre non solo la lingua, ma anche i concetti.”

In questa prima parte dell’intervista ci accompagna dietro le quinte di un progetto ERP multiculturale e ad alta complessità, dove la vera sfida non è solo tecnica, ma relazionale. È qui che emerge il valore dell’empatia, della fiducia costruita nel tempo, della leadership che sa tenere insieme visione strategica e operatività locale.

Un racconto che dimostra come la tecnologia, da sola, non basta: serve chi la sappia tradurre, integrare e umanizzare.

Capitolo Uno: Le origini di una passione.
Come è nato il tuo interesse per la tecnologia e, in particolare, per il mondo ERP?

Il mio interesse per la tecnologia è nato da ragazzino a fine degli anni ’90, quando i primi personal computer iniziarono a entrare nelle case. Avevo un vecchio Commodore 64 e passavo ore a smontarlo, cercando di capirne il funzionamento e sperimentando con i primi rudimenti di programmazione in Basic. Era un’epoca affascinante, in cui tutto sembrava possibile con qualche riga di codice e un po’ di pazienza.

Era l’epoca in cui quei sistemi venivano soppiantati da tecnologie più moderne: arrivarono i primi PC con Windows, che avevano il grande vantaggio di poter essere assemblati utilizzando componenti diversi. Questo mi aprì un mondo. Mi divertivo a costruire computer “pezzo per pezzo”, scegliendo schede madri, RAM e hard disk, e poi configurando il sistema operativo. Era una sorta di artigianato digitale che mi ha insegnato moltissimo sulla logica dei sistemi, sull’interoperabilità e sulla necessità di un’infrastruttura ben progettata.

Il passaggio al mondo ERP è arrivato con gli studi universitari, quando ho scoperto i sistemi informativi aziendali. Da subito mi ha colpito la potenza di questi strumenti: riuscivano a tenere insieme processi diversi, funzioni diverse, persone diverse. Un ERP è molto più di un software: è il “cervello operativo” di un’azienda. Da lì è stato naturale voler entrare in quel mondo, per contribuire a costruire soluzioni che rendessero il lavoro delle persone più efficace, e che aiutassero le organizzazioni a crescere e trasformarsi.

Cosa ti ha portato fino ad Amplifon? C’è stato un momento chiave che ha segnato il tuo percorso?

Prima di entrare in Amplifon ho lavorato a lungo in contesti molto diversi tra loro, come il settore crocieristico e il manufacturing, sempre con un comune denominatore: l’uso della tecnologia per supportare l’operatività e migliorare l’esperienza, che fosse del cliente o dell’utente interno. Queste esperienze mi hanno dato una visione trasversale dei processi aziendali e un approccio molto pragmatico alla tecnologia, vista come leva concreta per risolvere problemi complessi e abilitare processi di business.

Quando sono arrivato in Amplifon, la prima grande sfida è stata guidare la trasformazione digitale in ambito HR. Era un contesto in forte evoluzione, con la necessità di costruire da zero un team dedicato e implementare diverse piattaforme HRIS a livello globale. Non si trattava solo di tecnologia, ma di ridefinire il modo in cui le persone vivevano i processi HR: dalla gestione dei talenti alla performance, dalla formazione al recruitment. È stato un vero banco di prova in termini di change management, visione strategica e capacità di lavorare in sinergia con la funzione HR. Guardando indietro, credo che proprio questo progetto abbia segnato l’inizio del mio percorso in Amplifon come una sfida continua di trasformazione, crescita e innovazione.

Quali sono stati i primi “pain point” della tua carriera che ti hanno insegnato qualcosa di importante?

Le difficoltà più grandi non sono mai state tecnologiche ma umane. Ho imparato presto che il principale ostacolo nei progetti IT è la resistenza al cambiamento. Non basta implementare una nuova piattaforma, bisogna convincere le persone a adottarla: far capire il valore della trasformazione e allineare tutti verso un obiettivo comune.

Un altro aspetto critico è stato far comprendere ai decision maker il valore strategico dell’investimento in tecnologia. Spesso il ritorno non è immediato ma, senza certe innovazioni, un’azienda rischia di rimanere indietro. Infine, una delle lezioni più importanti è stata quella di far lavorare insieme team IT e funzioni di business, come veri co-worker, abbattendo le barriere tra “chi fa tecnologia” e “chi usa la tecnologia”. Quando questo allineamento funziona, i progetti vengono eseguiti meglio e portano un impatto reale e duraturo.

Capitolo Due: ERP tra Milano e Shanghai – la sfida di un progetto globale
Ci puoi raccontare il progetto che stai seguendo in Cina? Quali sono gli obiettivi e le complessità principali?

Il progetto che stiamo portando avanti in Cina è uno dei più articolati e stimolanti che mi sia capitato di seguire. Alla base c’è una trasformazione profonda del modello operativo che si avvia verso un modello centralizzato, con un magazzino unico che gestisce scorte e ordini per l’intera rete commerciale.

Ma il vero cuore della complessità è tecnologico e architetturale. In Cina utilizziamo un ERP locale, esterno rispetto alla piattaforma corporate di riferimento. I due sistemi devono dialogare in modo fluido e sicuro, scambiandosi dati fondamentali come ordini di acquisto (PO), avvisi di spedizione (ASN), fatture, conferme d’ordine e riconciliazioni. A sua volta, la piattaforma corporate è integrata tramite EDI (Electoric Data Interchange) con i sistemi dei fornitori globali.

È una catena che deve funzionare come un orologio, con standard ben definiti, ma anche con la flessibilità necessaria per adattarsi alle peculiarità locali. L’obiettivo finale è quello di costruire un ecosistema integrato, scalabile, che supporti la crescita e permetta una gestione efficiente delle operations in un mercato strategico e in costante evoluzione, come quello cinese.

Quali sono le sfide comunicative e culturali che hai riscontrato lavorando tra team italiani e cinesi?

La distanza fisica si colma con la tecnologia ma quella culturale richiede pazienza, curiosità e soprattutto un grande lavoro relazionale. Una delle sfide più evidenti è nel modo in cui si affrontano i problemi: in Italia siamo abituati a discutere in modo diretto e spesso informale, mentre in Cina il confronto è più strutturato, con un forte rispetto per le gerarchie e una comunicazione più formale.

In un contesto così complesso, dove i team locali lavorano su un ERP cinese e quelli corporate su una piattaforma diversa, ogni malinteso può trasformarsi in un bug di progetto. I flussi di dati tra i due sistemi sono molto tecnici – parliamo di PO, ASN, fatture, conferme d’ordine – ma per farli funzionare bene serve una comprensione condivisa di cosa significano nei processi quotidiani. Ho imparato che per ogni flusso dati serve un flusso umano altrettanto solido: bisogna allineare definizioni, aspettative, tempi.

Spesso la chiave è stata “tradurre”, non solo la lingua ma anche i concetti, in modo che tutti – IT, operation, finance – avessero una visione comune. Abbiamo fatto un grande lavoro sui documenti condivisi, sulle demo congiunte, ma anche su piccoli gesti: un messaggio di ringraziamento, una call di allineamento informale, un feedback costruttivo. Sono cose che fanno la differenza quando si lavora su fusi orari e culture diverse.

Come hai adattato la tua leadership per coordinare un progetto così distante geograficamente e culturalmente?

La leadership in un progetto globale come questo richiede di cambiare ritmo, prospettiva e strumenti. Non puoi più contare sulla forza della presenza fisica o sull’interazione quotidiana: devi essere intenzionale in ogni gesto, chiaro in ogni comunicazione e, soprattutto, coerente nelle azioni.

Mi sono trovato spesso a fare da ponte tra mondi diversi: il mondo del business cinese, veloce e orientato al risultato, e quello corporate, che guarda all’armonizzazione, alla compliance, alla sostenibilità nel lungo periodo. Coordinare due ERP diversi, ha richiesto una leadership capace di tenere insieme visione strategica e attenzione al dettaglio tecnico. È un equilibrio delicato: se sei troppo rigido perdi l’agilità del team locale, se sei troppo flessibile rischi di compromettere l’allineamento globale.

Per questo ho lavorato molto su due fronti. Da un lato, creare fiducia: essere presenti nei momenti chiave, ascoltare i bisogni del team cinese, valorizzare i successi locali. Dall’altro, costruire processi chiari e responsabilità condivise: non imporre, ma co-costruire. Ho imparato che il vero coordinamento non si fa “dall’alto” ma “insieme”, giorno per giorno.

È un tipo di leadership che ti mette alla prova continuamente ma ti arricchisce profondamente. Alla fine, non si tratta solo di far parlare due sistemi ma di far parlare due visioni del mondo. E quando ci riesci, i risultati vanno ben oltre i KPI.

Questa prima parte dell’intervista ha messo in luce come la tecnologia, per generare reale valore, debba essere compresa, contestualizzata e soprattutto condivisa. 
Attraverso l’esperienza di Loris Seligardi, abbiamo esplorato il ruolo dell’ascolto, della mediazione culturale e della leadership empatica all’interno di un progetto ERP globale ad alta complessità. 

Nelle prossime settimane non perdetevi la seconda parte dell’intervista, nella quale approfondiremo ulteriormente i temi legati all’intelligenza artificiale, all’evoluzione del dipartimento IT e alle competenze necessarie per affrontare le trasformazioni in atto.  

Grazie a Loris Seligardi, per averci mostrato che ogni trasformazione tecnologica inizia sempre da una trasformazione umana. 

Seguici per non perderti la seconda parte dell’intervista su Humans of Technology. 

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