Dragos Vingarzan – fondatore di Neat Path Networks – ci accompagna nel cuore della sua esperienza nel mondo Telco, tra sfide tecnologiche, spirito di squadra imprenditoriale e nuove prospettive per innovare un settore spesso percepito come immobile.
In questa intervista racconta un percorso intenso e profondo, guidato dalla volontà di innovare in modo concreto, rimanendo fedele a una visione tecnica, indipendente e profondamente umana. Condivide perché, dopo l’esperienza in Twilio, ha scelto di ricominciare creando una startup.
“Volevo tornare a essere rivoluzionario, riprendere il controllo delle mie decisioni. Volevo costruire una nuova piattaforma software, libera da vincoli e scelte vecchie di dieci anni. Perché dietro ogni tecnologia che semplifica il mondo, c’è sempre la storia di chi ha avuto il coraggio di cambiare le regole del gioco”.
Partiamo dall’inizio: chi sei e cosa ti ha ispirato a lanciare la tua startup?
Mi chiamo Dragos Vingarzan e ho lavorato per la maggior parte della mia vita nelle telecomunicazioni, partecipando alla trasformazione software del settore. Per me è sempre stato affascinante trovare modalità nuove e dirompenti per riprogettare le grandi reti core con tecnologie moderne. All’inizio ho avuto la fortuna di ottenere una sorta di borsa di studio presso un istituto Fraunhofer, che mi ha consentito di puntare in alto e iniziare a fare prototipi in modo differente. L’attuale startup è ancora in parte ispirata al lavoro svolto lì, tanti anni fa, ma ora con una visione del mercato più realistica e aggiornata.
La telefonia mobile e la messaggistica non sono più servizi innovativi oggi. Questo ha portato il mercato IMS in una sorta di stagnazione, dopo l’enorme hype degli anni 3G. All’epoca IMS era vista come LA piattaforma che avrebbe alimentato il nuovo Internet dirompente. Eppure web 2.0, social network e l’odierno stile di vita mobile sempre connesso si sono sviluppati in parallelo, senza incrociarsi. Gli operatori mobili lo hanno rebrandizzato prima in VoLTE, poi VoNR, ma durante gli anni 4G abbiamo ancora fatto ampio uso di fallback su Circuit Switched. E ora, con il 5G – mentre 2G/3G sono stati o vengono dismessi – l’IMS è un po’ un «elefante nella stanza»: non ne hai davvero bisogno, ma non puoi nemmeno farne completamente a meno, delegando tutto il traffico voce/video/messaggi alle app Over‑The‑Top.
Crediamo dunque che sia solo una questione di prodotti non adatti all’attuale ambiente di mercato a rallentarne l’adozione. La complessità è ancora alta, e sempre più operatori – inclusi i piccoli Private Mobile Network – trovano difficoltà ad adottare soluzioni vendor o Open‑Source. La nostra startup mira a offrire IMS as a Service, nel senso vero del termine: solleviamo i clienti dalla complessità, sfruttando economie di scala con una soluzione cloud flessibile, multi-tenant. Gli interconnetti IMS sono centrali nella nostra strategia, riconoscendo che la mancanza di roaming voce senza soluzione di continuità è un grosso ostacolo. Riuscire ad arruolare anche operatori privati molto piccoli con poche decine di SIM, e supportare deployment ibridi cloud/on‑premise con interconnessioni out‑of‑the‑box, fa parte della nostra roadmap.
Sul fronte tecnologico abbiamo riprogettato tutto usando linguaggi moderni, sviluppo assistito da AI e automazione avanzata di test e deployment. Questo ci aiuta a mantenere i costi sotto controllo.
Vogliamo essere un servizio snello, simile a un Over‑The‑Top, per operatori, che sfrutti davvero le capacità native del telefono, offrendo un’esperienza finale senza app.
Qual è stato il momento più difficile, quello in cui hai pensato: “Forse non funzionerà”? Come avete reagito?
Le telco sono un ambiente tosto… L’intero settore dimostra spesso come NON sprecare soldi inseguendo idee sperando che i clienti poi le usino.
Parlare con investitori o VC è dura. Si aspettano moltiplicatori 10x sul capitale. Puntano subito sui margini risicati dei grandi operatori. Quindi costruire qualcosa per il settore telecom e competere per i talenti è molto difficile. Abbiamo sempre dovuto autofinanziare lo sviluppo dai primi prototipi licenziati. Questo crea disincentivi: i clienti pagano feature all’avanguardia per testarle, mentre noi vogliamo creare software stabile, robusto ed economico per la produzione.
Con Core Network Dynamics, grazie al brand Fraunhofer, siamo stati molto bravi: oltre 100 clienti paganti. Ma col passare del tempo era sempre più difficile bilanciare l’inseguimento di oltre 35 elementi funzionali per soddisfare i clienti, e al contempo rafforzare tutto e arrivare a entrate ricorrenti da produzione.
La svolta è arrivata con Twilio. Quando li abbiamo incontrati avevano già un MVP per un prodotto IoT e cercavano il team di ingegneria v2.0. La nostra decisione – dura ma necessaria – è stata eliminare tutto ciò che non rientrava nel loro perimetro, focalizzandoci su ciò che era critico da controllare e personalizzare. “Mettersi nei panni del cliente” con un approccio direct‑to‑customer è stata la chiave di successo ispirata da Twilio. Passare a un unico cliente — noi stessi, in produzione — è stata una benedizione per il team di ingegneria: abbiamo dimostrato che il nostro investimento decennale nella piattaforma ne valeva la pena.
Una startup non riguarda solo la tecnologia: riguarda le persone. Chi sono stati i personaggi chiave nel vostro percorso e in che modo hanno contribuito al successo?
Era chiaro che i clienti compravano non solo del codice, ma investivano in noi e nel nostro spirito “can‑do”.
Alberto Diez è stato l’ideatore originale. Aveva questa spinta a creare il miglior prodotto possibile. La sua visione del potenziale del nuovo EPC 4G è stata fondamentale per finanziare l’intero progetto tramite licenze R&D. Valentin Vlad e Jakub Kocur, inizialmente studenti, hanno allora costruito una piattaforma modulare straordinaria: sono i pilastri del nostro team di sviluppo. Poi Lukas Wöllner, Kartikeswar Koppula, Kamaljeet Kaur, Murugadoss Venu, Ramon Butter e altri, con la loro attenzione ai dettagli e un approccio orientato al progresso, hanno plasmato l’implementazione, consegnata ai clienti con eccellenza da Alex Russu (devops) e Glenn Lea (tech‑writer). Il nostro cloud‑team, Giuseppe Carella e Lorenzo Tomasini, ha reso la soluzione pronta per grandi deployment su AWS. Molti altri si sono uniti a noi in Twilio, troppi da citare, e hanno contribuito concretamente al successo. Infine, Prof. Thomas Magedanz e Marius Corici di Fraunhofer FOKUS ci hanno supportato nelle fasi iniziali con finanziamenti e grant. Avere un CEO professionista, Carsten Brinkschulte, ci ha aiutato a sfruttare al meglio ogni opportunità.
Vendere un’azienda è il sogno di tanti fondatori. Com’è davvero quel momento? È stato come te lo aspettavi?
È un misto di emozioni, onestamente. Da un lato ci sono i benefici finanziari e finalmente puoi respirare, togliendo la pressione di pagare gli stipendi in mercati in continua mutazione. In una startup ti senti profondamente connesso ai dipendenti: il fallimento non è un’opzione.
Dall’altro, perdi il controllo: diventi un ingranaggio in un meccanismo. A volte è utile, altre volte odi le decisioni fredde prese da altri basate su numeri. Una grande azienda può permettersi di licenziare e assumere senza grandi ripercussioni a breve termine, ed è difficile da accettare. Con il tempo impari a essere in disaccordo accettando comunque: una grande azienda ha bisogno di un esercito disciplinato, non dell’autonomia che cercavi di infondere nel tuo team startup.
La scala e le opportunità che una grande azienda offre a te e al tuo team sono enormi. Far funzionare il tuo software in produzione su scala globale è estremamente gratificante. È un grande premio che il sogno si realizzi, ma impari che è anche una transazione, uno scambio; e tutto si muove molto in fretta.
Guardando indietro, cosa faresti diversamente? Quali errori hai imparato alla svelta?
Cercherei prima di capire cosa vogliono davvero gli utenti finali e come lo utilizzano. Molti settori sono catene di business: vieni influenzato dal cliente a valle e influenzi a monte. Spesso l’intera catena manca il mercato o i clienti non comprano i prodotti a cui hai contribuito per ragioni diverse da quelle che pensavi. Parlare direttamente con loro, per scoprire i loro veri problemi, potrebbe aprirti la mente su ciò che stai davvero facendo.
E un altro insegnamento tardi: non lasciarti troppo comodo nel lavoro quotidiano. Se qualcosa ti dà fastidio, sistemalo: affrontalo, provalo, agisci.
Ora sei tornato sul campo con la tua nuova avventura: Neat Path Networks. Perché questa scelta?
Un co‑fondatore nel nostro team presso Twilio diceva: “in una piccola azienda puoi fare tutto, ma devi fare tutto; in una grande non devi fare tutto, ma non puoi fare nulla”. Era metà battuta, metà critica costruttiva per farci tornare alle nostre radici da imprenditori.
Sentivo di essere entrato in una routine di integrazioni, re-integrazioni o affinamenti di un prodotto già funzionante. Ma il mondo fuori dalla bolla continua a muoversi e non aspetta che tu finisca tutte le tue quest. Volevo essere di nuovo dirompente, avere controllo diretto sulle mie decisioni. Volevo avviare una nuova piattaforma software, libera da decisioni decennali. Quando ho rivisto Alberto e abbiamo ripreso i colloqui, è stato puro carburante per decidere di ricominciare.
C’è qualcosa di magico in una startup: il foglio di “carta” è vuoto ed è perfetto. Questo non lo capisci o apprezzi la prima volta.
Come vedi il mercato oggi? Cosa dovrebbe cambiare?
Direi innanzitutto che il potenziale dirompente esiste sempre.
Ho l’impressione che il mercato sia in una fase di “attesa”. Serve uno slancio che ci faccia avanzare. Ma devi muoverti anche tu e creare leadership. Il problema è la rassegnazione che vedo in molti sviluppatori: paura di sperimentare cose nuove, perché “tutto è già stato fatto” e il gioco delle startup finanziate da VC è troppo finto o manipolato (ci sono pure sitcom a riguardo).
Prendiamo l’esempio dei core network mobili, in cui operiamo:
Da un lato c’è quella che definirei la “depressione 5G”. Il deployment radio è stato fantastico per i consumatori, ma l’Evolved Packet Core 4G era (ed è) già sufficiente. Il 5G‑Core fa fatica a trovare vera trazione (vedi deploy 5G SA), forse risolve un problema che non c’era?
Dall’altro, esistono progetti Open‑Source che implementano queste tecnologie, sia come protocolli autonomi sia come componenti funzionali; perciò le barriere d’ingresso non sono mai state così basse. Ciò rende però più difficile vendere soluzioni avanzate, perché è difficile finanziare grandi team di ingegneri, sia se sei in un progetto Open‑Source, sia se competi con qualcosa di percepito “gratis”.
Ma penso che sia anche un’opportunità, specialmente per chi non si arrende e non aspetta il 6G con più o domande diverse. Al Fraunhofer FOKUS, dove era basato il nostro team, avevamo una citazione di Henry Ford: “Se avessi chiesto alla gente cosa voleva, avrebbe detto cavalli più veloci”.
È per questo che in Neat Path Networks puntiamo ben oltre l’hype del momento. Puntiamo a risolvere prima i problemi dei clienti finali delle reti telecom, non necessariamente quelli dei grandi operatori o vendor.
Naturalmente sarebbe auspicabile un sostegno migliore e investimenti mirati da parte dei governi locali. Le reti di comunicazione sono infrastrutture critiche, soprattutto in anni incerti come quelli che viviamo. Serve un cambio da decisioni popolari a pensiero strategico e investimenti a lungo termine in soluzioni tecnologiche d’origine locale.
E ora? Quali sono i piani per i prossimi 2 anni?
Abbiamo già superato il primo traguardo: dimostrare che possiamo sviluppare questa nuova tecnologia e che funziona con telefoni commerciali. Il prossimo passo è scalare lo sviluppo: qui sta la sfida del finanziamento e della crescita del team. Per noi tecnici, non è forse eccitante come risolvere un problema di codice, ma è comunque cruciale allineare fondi con ricavi, richiesta clienti con sviluppo prodotto, e crescita del team con principi fondamentali di valore.
Siamo ottimisti di riuscire ad attrarre fondi e crescere, perché crediamo nella nostra tecnologia e nel nostro approccio di individuare e risolvere i problemi giusti per i nostri clienti.
Chi lavora nel mondo Telco oggi sa che le tecnologie evolvono, ma la vera sfida è avere il coraggio di mettersi in discussione e di rispondere a bisogni reali del mercato.
Dragos Vingarzan ci ha mostrato cosa significa innovare partendo dall’ascolto del mercato, dalla curiosità per ciò che ancora non esiste e dalla capacità di trasformare la complessità in opportunità.
Più che di reti e piattaforme, questa storia parla di visione, di spirito imprenditoriale e di libertà di pensiero.
Perché ogni innovazione che lascia il segno nasce dall’incontro tra competenze, coraggio e umanità.
Grazie a Dragos per averci ricordato che innovare, alla fine, è sempre una questione di coraggio e di credere nelle proprie idee.



